superficie

Mi manca la voglia di vivere. Questo ho sentito dire da una ragazzina. Carina, con tutti i requisiti, pensando banalmente, per far girare la testa ad un suo coetaneo. Eppure lo ha detto, e mi si è gelato il sangue, per il modo: c’era rassegnazione, come fosse un dato di fatto. Punto. Non voglio entrare in una questione spinosissima e delicata. Non voglio chiedermi il perchè. Ma riflettere sulla superficie. Come siamo abituati a fidarci di una impressione distratta, svogliata, fatta di pochissimi elementi, per pesare le persone che ci capitano vicino. Lo facciamo di continuo, dicono gli psicologi, non possiamo fare altrimenti. E di come, basandoci su questo, vediamo il mondo, o meglio non lo vediamo, commettendo l’errore, questo sì, di scambiare il non visibile come il non esistente. Il tormento di questa ragazzina, se non avesse detto quelle parole, non lo avrei notato, e chissà quante storie mi sono passate sotto il naso, sotto il mio radar. Storie che avrebbero cambiato il mio modo di vivere. D’istinto l’avrei abbracciata, in silenzio, per farle sentire un po’ di calore umano e per ringraziarla di avermi fatto fermare a riflettere di come la superficie è fredda. Il caldo è in profondità, sotto le coperte.

E forse avrebbe sorriso.

solitudine

Qualche giorno fa ho letto un articolo riguardante il suicidio di un ragazzino di 14 anni, avvenuto negli Stati Uniti. Notizia di per se’ tragica, ma purtroppo comune a tante altre. La sua peculiarità, che ne motiva la pubblicazione, è il fatto che l’adolescente pare si sia innamorato di un chatbot, entità tecnologica gestita da un’intelligenza artificiale, che l’abbia indotto a commettere il gesto estremo. Un po’ come ci innamorassimo di qualcuno via whatsapp, e questo qualcuno non fosse umano, bensì un programma sofisticato, un software. La cosa non mi ha stupito e non scrivo per condannare o giustificare l’ennesima applicazione della cosiddetta intelligenza artificiale. Quello che mi ha colpito è stato il comportamento dei genitori, i quali hanno citato in giudizio i gestori di questo chatbot, accusandoli di aver istigato il figlio a togliersi la vita.

Mi ha colpito questo comportamento umano.

Noi tutti siamo consapevoli di quanto la tecnologia stia cambiando le nostre vite a ritmi sempre più serrati, ma l’uomo è sempre lo stesso. Da milioni di anni. Se pensiamo alla nostra quotidianità e la rapportiamo al passato, facendo un saltino di un decennio soltanto, ci vengono i brividi per quanto sia diversa.

Ora, immaginiamo di essere in un ospedale o in una struttura a contatto con persone che soffrono; e facciamo un salto nel passato, anche un balzo. Cosa cambia? Praticamente nulla.

Alla solitudine, all’abbandono non c’è pillola che tenga.

Quante persone anziane aspettano di tornare a casa ignare che i figli, oltre a fregarsene di loro, gli hanno venduto la casa? Quanti ragazzini avrebbero bisogno solo di un gesto di affetto, solo di parlare…e non importa che siano i genitori a farlo, non importa nemmeno che sia un essere umano a farlo.

Mi fa venire i brividi.

E’ facile dare la colpa a qualcuno, a qualcosa meglio. Questo è il comportamento umano a cui mi riferisco. Trovare scuse per ricacciare la propria pochezza sotto il tappeto, per non fare i conti con le proprie sconfitte, per farci, addirittura, dei soldi.

Vero, comunicare è difficile, dare è difficile, soprattutto quando non hai nulla. Da dare.

poi arriva

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